di Darianna Saccomani
Mamma mia quanta confusione. Ciascuno interpreta questa parola ed il suo senso a proprio piacimento, attribuendogli elementi quali la "morale", l'"onestà", la "fedeltà", la "lealtà" eccetera fino ad arrivare all'eccesso di voler creare connubi strani fra "politica" e "libertà".
La politica, diversamente da tutti gli altri termini, non è un concetto astratto, ma è un concetto estremamente pratico. In altre parole la politica è un "arte" nel senso di "mestiere". Come il falegname sa lavorare il legno, così il carpentiere costruire strutture, come l'architetto pensare abitazioni e città, così la persona che fa politica deve "sapere" gestire la città intesa come insieme di persone. La politica, nei fatti, è colei che deve sapere amministrare l'economia della "polis" ovvero delle persone che fanno ed abitano la città!
Nella concezione più assurda del pensiero greco, la struttura che da a tutti cittadini e cittadine la possibilità di gestire la "economia" è la "democrazia". Il "demos" il popolo che "gestisce" l'economia. Concetto bello quanto irreale, soprattutto concetto assolutamente demagogico, poiché alla fine della fiera, nelle democrazie, si attua il sistema della delega, quindi nei fatti si va a dare a "qualcuno" il potere di "gestire" l'economia. Il problema è che questo "qualcuno" generalmente è quello che si può permettere di farsi conoscere, che ha i soldi, infatti la logica conseguenza della struttura democratica è che essa, nei fatti, si trasforma in "plutocrazia" (governo dei ricchi) o nella "tirannia" che si distingue dalla "monarchia" solo perché la "tirannia" si vanta di avere il supporto del "popolo".
Nell'utopia greca la migliore struttura di governo è quella dell'"aristocrazia", cioè il governo dei migliori, indipendentemente dal loro "censo" o dalla loro etnia o dal loro genere! Infatti per governare l'economia ci vogliono i "migliori", quelli veramente "capaci" che sanno fare la gestione, che sanno comprendere fino in fondo cosa significa "economia".
Sulla base di questa semplice e veloce analisi, mi sono venute una serie di considerazioni e di domande:
a) Quale potrebbe essere la "politica" di persone che vivono collocate nella diversità? Quale politica potrebbe essere propria, ad esempio, di persone transgender?
b) Come si fa a stabilire chi siano le persone "migliori" per poter gestire ed avere il potere di gestire una economia che parta dall'ultimo, della diversità, dall'inclusione, dalle pari opportunità, del rendere giustizia, del riconoscere le diverse soggettività eccetera?
c) Come potrebbero queste persone "migliori" esprimere pienamente il senso e la spinta che nasce dalla condizione reale e quotidiana delle persone, comprendendole in un quadro più ampio, meno ghettizzato?
Sono domande di fondo, se vogliamo, domande che escono dal clima tipico della demagogia ideologica e si pongono sul piano pratico. Infatti parlo di "politica" non di ideologie. Se parlassi di ideologie parlerei di "partiti", ma io voglio sare nel concreto, nella concretezza più assurda che è quella della "utopia".
Tanto per cominciare mi sono già permessa di indicare con velocità quali siano i punti di partenza e di analisi di una "politica" esercitata da chi parte dalla condizione di svantaggio sociale.
Infatti noi siamo le persone "ultime" e per noi è fondamentale comprendere bene cosa vuol dire prendere come presupposto il diritto degli ultimi, il rendere giustizia, l'inclusione sociale, le pari opportunità. Cosa vuol dire gestire il potere dell'economia a partire da questi presupposti?
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