6 febbraio 2010

Documento Congressuale


1. Perchè il Congresso


L'idea del Congresso nasce all'indomani della manifestazione “UGUALI” svoltasi a Roma il 10 ottobre 2009, da un gruppetto di persone T che si sono trovate a riflettere ed a considerare la possibilità di dare l'occasione a se stesse ed a tutt* di una svolta all'attuale situazione per vedere e progettare insieme il rilancio della nostra lotta per i diritti e per il nostro riconoscimento di persone a tutti gli effetti e di cittadin* di questo paese Italia. Tutt* siamo a conoscenza delle diatribe, litigi, veleni, reciproche accuse che sono esplose in conseguenza alle scelte politiche che da questa manifestazione sono nate e si sono sviluppate anche in conseguenza alla situazione contestuale del momento dettata dalla presentazione della proposta di legge “CONCIA”, dalla cancellazione dell'identità di genere da questa legge, dal clima omofobico e transfobico che si è generato in quel periodo. Clima che si è accesso ulteriormente in conseguenza al caso “Marazzo”, alla vicenda e morte di Brenda, alla passerella di personaggi nelle TV e nei media in generale, alla oscena scelta editoriale compiuta dai mass media in merito alla delle persone T.

Il movimento LGBT (eccetera) ha avuto diverse reazioni, da quelle spontanee a quelle più organizzate; ha visto la realtà delle persone T, specie di alcune associazioni, presente a diverse di queste manifestazioni in modo particolarmente attivo, ma tutto questo ha messo in chiara evidenza quanto la realtà del movimento LGBT (eccetera) sia ad un notevole grado di disgregazione e come la componente T sia frammentata, disarmonica, di quanto questa componente T sia estremamente marginale al movimento stesso che è stato del tutto incapace di reagire di fronte al “massacro” che si sta attuando nei confronti delle persone T, rimanendo assente e disiniteressato completamente a quanto accade nell'ambito T. Andando oltre all'indicare questa marginalità di fatto e del sostanziale disinteresse della realtà LGB alla componente T, si deve anche sottolineare che questo può proprio essere conseguenza della frammentarietà della componente T, di quanto i tentativi di coordinamento e di darsi un aspetto più “unitario” siano nei fatti naufragati di fronte ai fatti, di come la dimensione personale e soggettiva abbia prevalso sull'obiettivo politico unitario, rendendo incapace la realtà T di dare anche solo un messaggio forte ed unitario e di trascinare in questo il movimento LGB.

Non si vede la necessità di un momento assembleare delle Associazioni, di chiarificazione eventuale su quanto accaduto, dell'ulteriore scambio reciproco di accuse, o di definizioni di eventuali responsabilità. Questo non perché si vuole chiedere di mettere una pietra sopra a quanto è stato, ma perchè si ritiene, e lo si afferma con una certa forza, che tutto questo non porta nulla e non interessa più di tanto di fronte alla situazione storica nella quale si sta vivendo, situazione storica che pretende che noi ci si ponga con chiarezza di fronte alla storia con obiettivi chiari e rappresentanze chiare.

Da quanto su brevemente accennato nasce la necessità del Congresso per dare alle persone T una realtà che sia riconosciuta, legittimata e incaricata di esprimere a livello generale e nazionale la propria posizione condivisa ed unitaria di fronte a quanto accade, ma soprattutto di fronte alle Istituzioni Statali che sono la nostra reale “controparte” sul piano delle trattative indipendentemente dal loro “colore” partitico, nella piena consapevolezza che “Noi” non siamo stat* tenute in alcun conto e la nostra realtà completamente disconosciuta sia da destra che da sinistra. La sinistra non ci da maggiori garanzie di quanto non ce le dia la destra. Fuori dai giochi ideologici la realtà di fronte alla quale siamo e l'esperienza che abbiamo acquisto ci pone chiaramente di fronte il fatto che noi non abbiamo alcun peso e nessun significato, nessuna reale forza contrattuale; noi semplicemente non esistiamo nei fatti!

Il Congresso non contesta, non vuole entrare né deve entrare nell'attività che ciascuna associazione ha svolto e svolge, ma sottolinea e dichiara con chiarezza che tutto questo non ha portato ad effettivi risultati, se non ad una sostanziale situazione di stasi se non di fallimento. Non si vuole entrare in merito a quello che le associazioni hanno fatto e fanno, poiché a livello territoriale e secondo i propri statuti e finalità, hanno svolto e svolgono un lavoro importante a tutti i livelli e questo deve essere pienamente riconosciuto ed apprezzato ed incoraggiato se possibile. Ciò che il Congresso vuole porre e rilanciare ciò che l'insieme delle Associazioni non sono riuscite a fare, ovvero dare una rappresentatività chiara e condivisa capace di portare una parola unitaria e legittimata a livello nazionale, che non scavalchi le realtà associate, ma che esprima un sentire più ampio e condiviso, perché appare chiaro che le scelte legittime di una associazione non sono le scelte condivise da tutt*, non possono essere espressione del sentito di tutt*, come deve essere chiaro che non tutte le persone T si riconoscono o possono fare parte del sistema associativo.

Il Congresso vuole essere erede delle cose che sono state fatte, compresi i fallimenti, per aprire una nuova stagione di lotta politica per la rivendicazione dei nostri diritti, per la possibilità politica di poter presentare la nostra idea di società, per poter aprire la strada ad un nuovo modo di porsi e di fronte al problema dei diritti della persona che per le persone T si esprime nella loro quotidianità, nella loro situazione di marginalità, di difficoltà, di solitudine, di esasperazione, di clandestinità eccetera. Il Congresso vuole prendere visione proprio quelle istanze che riguardano le persone nella loro situazione quotidiana, ma la cui soluzione deve trovare spazio politicamente a livello nazionale. Il Congresso ha di fronte a se la necessità di porsi a livello nazionale e come momento di sintesi delle singole realtà locali, personali, contestuali.

Proprio per questo l'obiettivo del Congresso è quello di:

· sviluppare una piattaforma politica che sia la sintesi di una approfondita ed ampia discussione fra tutte le persone T, che sia da queste pienamente condivisa. Sarà il prodotto di una serie di compromessi? Sicuramente si! Dovrà essere il prodotto di compromessi, ma appunto compromessi che superano il livello ideologico, che superano il livello della visione individuale e si proiettano verso una visione collettiva per il conseguimento di quei diritti che si riterranno fondamentali;

· tracciare le linee generali d'azione politica a livello nazionale, ovvero l'ambito di intervento, di rappresentatività, di azione e di convocazione su azioni specifiche con quella necessaria autorevolezza propria di chi parla per tutt*;

· creare commissioni di studio su specifici temi o settori, al fine di raccogliere quanto è già stato prodotto, di strutturare l'esperienza e la cultura che la realtà T ha comunque sviluppato in questi anni; la possibilità di fornire strumenti a disposizione di tutt*;

· decidere quale tipo di rappresentanza ufficiale si vuole dare alla realtà T, perché possa avere pieno titolo nel porsi di fronte ad altri soggetti, possa presentare con determinazione le nostre istanze, possa essere significativa nell'ambito del movimento LGBT e promotrice di un superamento eventuale dello stesso;

· sviluppare e determinare i criteri ed i limiti di ogni mandato, così come fornirsi di quegli adeguati strumenti di controllo democratico.

In conseguenza a quanto detto il Congresso deve essere fatto da persone che portano direttamente il loro contributo, la loro esperienza, la loro realtà, non perché le Associazioni non portino queste esperienze e contributi, ma perché per la realizzazione del Congresso diventa fondamentale che siano le persone, indipendentemente dal loro essere associate o meno, ad avere voce, e voce autenticamente deliberativa, propositiva e programmatica, e questo perché si vuole dare un nuovo impulso alla nostra rivendicazione di diritti che fin dalla sua composizione deve avere una visione ampia di sé in seno alla società Italiana, e fin dalla sua composizione deve porsi in una dimensione aperta. Infatti per quanto il diritto di voto passivo ed attivo sia proprio solo delle persone T, il diritto a parola deve essere garantito a tutte le persone che vorranno partecipare e che saranno accreditate, poiché il Congresso si dovrà e vorrà avvalersi di qualsiasi tipo di contributo che possa portare beneficio alla nostra rivendicazione in quanto parte di una società che ci discrimina.

Appare chiaro che già solo nell'impostazione e nella organizzazione del Congresso si sono fatte delle precise scelte politiche di indirizzo, scelte che potranno essere emendate, allargate, modificate, scelte che sono mirate ad accogliere e dare significato e peso ad ogni persona.

In buona sostanza sono le seguenti:

1. fare un congresso di persone;

2. fare un congresso aperto a tutt*;

3. fare un congresso che a partire dalla situazione T abbia la capacità di confrontarsi con il contesto italiano ed anche internazionale;

4. fare un congresso che abbia una comprensione più ampia possibile del termine “transgender”, ovvero che includa ogni manifestazione ed espressione di identità di genere; T sono tutte le persone che vivono nella inadeguatezza della definizione binaria del genere, quindi – per esemplificare – transessuali, transgender, travestiti, drag, queer e quant'altro.

5. transessualità, transizione e territorio. Creare attraverso il congresso una rete di sostegno diretta a quelle persone che affrontano il percorso di transizione e a quelle che lo hanno concluso, ma che vivono in un territorio lontano da realtà associative, di movimenti e gruppi di aiuto e sostegno a livello medico, giuridico e lavorativo. Assicurando a queste persone un riferimento nazionale che possa indirizzarle e guidarle verso un percorso personale che non manchi di riferimenti fondamentali, che in molte realtà territoriali, non esistono.

2. uno sguardo alla situazione generale;

Il presupposto fondamentale che si vuole porre e sul quale regge o cade questa impostazione è che noi dobbiamo essere pienamente consapevoli di fare parte integrante di questa società, e questo a prescindere dalla discriminazione, dallo stigma, dall'ostracismo di cui siamo oggetto. Siamo parte integrante di questa società e dobbiamo fuggire l'idea che dobbiamo in essa “integrarci”. Noi non dobbiamo “integrarci” in questa società, noi rivendichiamo che i diritti propri della persona, sia quelli che di fatto ci sono, sia quelli che ci sono negati, sia quelli che non sono previsti, vengano ad avere luogo e fattibilità. Noi siamo parte di questa società e pretendiamo che questo non sia disconosciuto dallo Stato, dalle sue Istituzioni, dalla società nel suo complesso. Siamo parte di questa società e pretendiamo di esserlo a tutti i livelli, da quello culturale, sociale, economico e politico, e questo perché siamo e dobbiamo essere pienamente consapevoli che noi rappresentiamo il vero punto di verifica della democraticità e dello stato dei diritti che questo Stato Italiano e questa società italiana esprimono, perché sappiamo bene che il livello di democraticità di un paese ed il livello effettivo della reale esistenza dei diritti alle persone che una società esprime e che una politica pone, è dato proprio dalla situazione nella quale le minoranze vivono. Noi siamo parte di questa società e dobbiamo essere consapevoli che noi, in quanto minoranza, siamo la reale misura del livello di democrazia e di attuazione dei diritti per tutta la società. Proprio per questo “io non sono il problema, io sono la soluzione”e proprio per questo ho la piena consapevolezza di essere parte di un più ampio movimento che ha attraversato tutta la storia umana quell'infinito movimento di liberazione che in ogni epoca storica ed in ogni secolo ha prodotto un passo in avanti nel cammino di emancipazione dell'essere umano dalle proprie schiavitù, dai propri condizionamenti, da quelle regole sociali e quelle strutture di potere che opprimevano ed opprimono gli esseri umani con la pretesa di volerli gestire secondo i propri fini e scopi.

Se noi vogliamo darci una identità storica a partire dalle rivendicazioni di Stonewall, lo facciamo solo per sottolineare un particolare punto di partenza, ma questo non può essere scisso e non compreso in un più ampio movimento, poiché se noi perdiamo di vista che, pur nella nostra particolarità, la nostra lotta è una lotta per il diritto di ogni essere umano, rischiamo di cogliere e strutturare solo una visione ghettizzata, priva di ogni prospettiva e di ogni sviluppo.

Noi non dobbiamo ritenere la nostra realtà come qualcosa di scollegato con il resto. La negazione dei diritti che noi subiamo, perché più esposte ed esposti, altro non è che l'amplificazione della negazione dei diritti che ogni persona ha nella propria esistenza, ma che non sente in maniera predominante poiché anestetizzata dal concetto di “normalità”, concetto che culturalmente non gli pone di fronte la propria condizione di negazione del proprio diritto, fino al momento in cui non si viene a trovare socialmente in una posizione di debolezza.

Noi incarniamo la debolezza sociale, ma tale debolezza non è altro che la debolezza di ogni persona che compone la società. Ogni attacco che noi subiamo, è un attacco che il sistema di gerarchie e di potere rivolge alla società intera. Questo senso deve essere per noi sempre e comunque presente, poiché deve diventare la matrice della nostra azione sociale, politica, culturale ed economica. La nostra visione deve, pur partendo dal nostro particolare “punto di vista”, abbracciare necessariamente tutta la realtà, deve uscire per prima dallo schema ristretto di una visione particolare, avere una visione globale, capace di affrontare le problematiche in un senso ampio. In altre parole, se noi rivendichiamo il nostro diritto al lavoro, questo non può prescindere dall'analisi reale della situazione economica generale, così per ogni altro aspetto delle nostre rivendicazioni, queste si devono collocare nel quadro complessivo della situazione, poiché solo in una visione realistica si può passare da una dimensione che chiede “assistenzialismo” ad una che diventa invece propositiva, diventa un contributo una proposta di soluzione.

Noi ci poniamo nella visione di una diversa prospettiva, ovvero assumiamo come vero quello che in tanti modi andiamo predicando, ovvero che la diversità è veramente ricchezza.

La nostra lotta, quella lotta che noi fissiamo come partenza con Stonewall, ci pone di fronte ad una considerazione fondamentale, ovvero che solo in base alla nostra capacità di essere unite e di presentarci con un fronte comune e condiviso, ed è questo il senso di questo congresso, il quale pone non l'idea di qualcuno, ma la linea che è stata da tutte e tutti noi condivisa, analizzata, studiata in mesi di lavoro, e quindi adottata.

Viviamo in un periodo di profonda crisi economica, crisi che viene misconosciuta dal governo, che viene sofferta dalle imprese, che viene subita dalle micro imprese, e che viene pagata dai piccoli artigiani e dalle maestranze. Questa crisi riversa i suoi costi sempre e comunque sugli strati più deboli della società di cui noi facciamo parte.

Le spiegazioni di questa crisi possono essere molteplici, e forse nel loro insieme anche individuano quali siano, effettivamente, le motivazioni. Indubbiamente ci possono essere tesi più liberiste, tesi di matrice marxiana, ciò che appare chiaro è che il sistema è malato soprattutto a partire dall'impostazione generale, la quale ha puntato in maniera strutturale sul surplus del valore, come se questo potesse reggere da sé indipendentemente dalla produzione effettiva, indipendentemente dalla ricchezza legata al lavoro. Questo concetto si può tradurre semplicemente nel tipico atteggiamento culturale che le persone hanno di fronte alla questione lavoro, ovvero il presentarsi di fronte ad una possibilità di lavoro e, prima ancora di comprendere quale sia il lavoro, quale siano le sue competenze, quale sia la sua effettiva resa, chiedono quanto prenderanno. Con questo non si vuol dire che il salario non è importante, anzi, ma è l'attitudine mentale, è l'approccio culturale al lavoro che è malato nella sua impostazione di fondo. Nei fatti la questione lavoro subisce il peso di una impostazione culturale che è, appunto, basata su parametri a prescindere dalla produzione, inserendosi in uno schema sistemico che nei fatti ha prodotto questo disastro e continua a produrlo. La situazione è quindi quella di un costante dilagare della disoccupazione, un crescere progressivo delle persone che si trovano – nei fatti – escluse dal mercato del lavoro un numero sempre più alto di persone che, sebbene in modo diverso, vengono a subire lo stesso tipo di stigma che noi subiamo di fronte alla possibilità di reinserimento nel mercato. Non possiamo dimenticare che una persona di 40 anni, che perde il lavoro, indipendentemente dalla sua percezione di genere o dal suo orientamento, si trova nei fatti esclusa dalla possibilità di reinserimento, riceve le nostre stesse risposte, vive la nostra stessa situazione. La differenza è che questa ci è caduta in questi ultimi anni, noi ci viviamo da sempre. Ma noi, se vogliamo affrontare la cosa in termini concreti, non ideologici, dobbiamo guardare in faccia la realtà, dobbiamo considerare praticamente e pragmaticamente le reali possibilità capaci di portare risposte concrete a questa situazione, e non solo per noi, ma per tutte le persone che vivono questo tipo di situazione. Dobbiamo invertire il concetto, ovvero dobbiamo sentirci noi capaci di trovare una soluzione anche per le altre persone, e non solo chiedere che qualcuno le trovi a noi. Del resto perché dovrebbero trovarle per noi e non per gli altri? E perché dovrebbero cambiare la loro impostazione di fondo di pregiudizio e di discrimine? Se noi vogliamo superare tutto questo, dobbiamo uscire dalla condizione di porci come un “problema”, ma presentarci come la soluzione al problema. Siamo un piccolo gruppo, ed abbiamo tutte le possibili intelligenze per poter fare questo salto, ma dobbiamo volerlo, dobbiamo porlo, dobbiamo assumerlo come strategia generale, come quel principio primo che fonda e organizza la nostra azione.

Appare evidente che ci si deve muovere su piani diversi, che non tutte le persone hanno capacità imprenditoriali eccetera, ma dobbiamo tutte e tutti pensare in termini diversi l'approccio al lavoro, dobbiamo pensare che noi siamo “la soluzione” e non un problema, dobbiamo porci in positivo di fronte alla crisi ed al vuoto di mercato che questa ha prodotto e sta producendo. Ci si può muovere sul piano di accordi con società per l'assunzione di persone qualificate, ci si può muovere con l'incentivazione alla imprenditoria, ci si può muovere generando lavoro dipendente attraverso le forme della cooperazione. Ma ciò che necessità è avere un fronte comune su questi argomenti, avere chiaro qual è il punto da cui tutte e tutti si parte, avere chiaro che in ogni contesto noi siamo una “risorsa”, non una “spesa”!

Capisco che ideologicamente il mio discorso ha delle dissonanze, ma io non ho intenzione di affrontare un discorso accademico o ideologico, ma piuttosto un discorso di programma, di pianificazione che produce effettivamente delle possibilità dove queste pare non ci siano.

Come Congresso non possiamo esimerci da dire una parola in merito al contesto politico attuale dove, almeno dal nostro punto di vista, è totalmente assente la politica intesa come arte del governare, del gestire la “polis”. Il clima di dileggio, di violenza, di caccia alle streghe ammantato da una visione moralista ed ipocrita, ci porta a denunciare con forza che le persone che si trovano in uno stato di debolezza sociale sono quelle che maggiormente soffrono dell'assenza di una reale azione e confronto politico. Non siamo certo coloro che si scandalizzano se lo scontro fra maggioranza e minoranza è anche duro, ma sicuramente siamo coloro che denunciano che uno scontro fatto fuori dall'ambito politico, o meglio portando nella politica il gossip, lo spettacolarismo, la dimensione di marketing, non è certo quel clima e quella dimensione che ci rende tranquill* e nella serenità di porci di fronte ad una contro parte capace di saper affrontare la trattativa con quella necessaria profondità e serenità che dovrebbe essere propria di chi ha in mano il governo del paese. Le sudditanze più o meno palesi nei confronti di elementi esterni alla struttura stessa dello Stato rappresentano per noi una grave carenza di laicità, di capacità di responsabilità nei confronti dello Stato. Proprio perché socialmente poste nella dimensione della marginalità per noi è necessario avere di fronte una realtà politica che sia attenta alle istanze che provengono dalla realtà di una minoranza; ma ci troviamo di fronte ad un clima tutt'altro politico che appare perseguire piuttosto l'umore di un “Popolo” spaventato ed incapace di comprendere fino in fondo la situazione contestuale nella quale siamo. Non è casuale che atteggiamenti omofobici e transfobici sia aumentato in modo esponenziale in questi ultimi tempi, che le situazione di esasperazione e disagio abbiano raggiunto culmini così alti come in questi tempi. Non è un caso che progressivamente ci sia una progressiva riduzione delle libertà della persona in favore di una fantomatica sicurezza. Quale sicurezza? Sicurezza per chi?

Non ci interessano le polemiche moraliste, ci interessa che si inizi a sviluppare un discorso politico capace di garantire – quanto meno – gli elementi primari e fondamentali della democrazia del nostro paese, che non si svenda il nostro paese ad una cultura razzista e xenofoba, che non si instauri nel nostro paese una cultura dove si individua il nemico o il responsabile in chi è diverso semplicemente perché nella diversità.

Si ha la pretesa che questo paese nel quale si vive, si lavora, si pagano le tasse, si contribuisce alla vita comune, sia anche quel paese che tenga conto di noi e tenga conto della nostra realtà di persone che sono collocate in una situazione di svantaggio sociale sotto tutti i punti di vista. Non si vuole linee preferenziali, ma la possibilità di aver garantita una reale pari opportunità.

3. Una fotografia della nostra situazione;

La realtà T è molto variegata, ma in qualsiasi modo essa si ponga e si esprima è realtà collocata nella inesistenza. Vero che esiste una legge, vero che ci sono dichiarazioni fondamentali della Corte Costituzionale che ci danno dignità, vero che noi siamo invisibili quando non esistiamo per le strutture sia prima della transizione, sia durante, sia dopo nell'inganno di essere legalmente “donne” o “uomini”, ma nei fatti trans socialmente in ogni caso, quindi soggetti alle stesse discriminazioni che, a quanto pare, ci collocano nella totale inesistenza.

Noi esistiamo, ci siamo, nelle nostre diverse espressioni siamo persona che vivono in questo paese e che pretendono che questo paese viva nella legalità, nella legittimità, nel riconoscimento primario delle proprie regole fondamentali. Perché ciò che noi viviamo è la contraddizione di uno Stato che nelle sue carte fondamentali ci comprende, ma nella quotidianità e nella applicazione di quanto quelle carte fondamentali pongono noi non siamo assolutamente prese in considerazione.

In più questa situazione ci porta ad una tale esasperazione dove sembra si scateni la lotta al distinguo, alla ricerca di una ideologica purezza che poco a che fare con la realtà. Noi oggetto di discriminazione sociale diventiamo a nostra volta discriminanti nei confronti di coloro che sono più deboli di noi socialmente, anzi le vediamo come una insidia al quel gradino sociale così faticosamente acquisito nella scalata ad una formale “normalità”. Per conservare questa si diventa capaci di creare sotto classi, di discriminarci fra noi, di creare ambiti T di classe a, b …. z, fino a negare le persone stesse per ciò che sono.

Chi è nella santità e nella purezza? Chi non è nella condizione di essere sempre e comunque scavalcat* da qualcuno che pretende per se una dimensione di maggiore purezza? Chi è esente dall'essere nella peggiore posizione? A che serve questa lotta fra poveri? A chi serve?

Sicuramente non serve a noi, non serve alla causa di acquisire i diritti che ci sono dovuti e quelli che sarebbero logici e necessari; non serve a nessun* l'onorabilità che vorrebbe questa società, perché è di una società diversa che noi siamo portatrici e portatori, e di questo dobbiamo assumercene il compito ed il coraggio.

Compito e coraggio di essere noi portatrici e portatori di un modello nuovo di società anche all'interno di quello che rimane del movimento LGBT o, meglio, di quello che potrebbe diventare il superamento di questa fallimentare sommatoria che, nei fatti, a noi ci vede inserite solo in maniera formale e non sostanziale. Del resto noi siamo sempre e comunque quella parte che può essere “ceduta” in cambio di vantaggi per altri. Quante trans morte ci vogliono per fare un gay ferito o una lesbica stuprata? Cosa ci vuole perché questo pseudo movimento scenda in piazza per dire basta anche per le cose che ci riguardano e che dovrebbero teoricamente anche riguardare loro? Ma appunto siamo arrivat* al punto in cui la distinzione fra “noi” e “loro” è diventata fattiva ed anche dichiarata, così che a partire da noi T questa sommatoria non funziona più e non è più accettabile poter contribuire a mantenere vivo un cadavere di apparenze che non corrispondono alla realtà pratica e politica? Noi non ci siamo e forse è anche colpa nostra, delle nostre divisioni, del non aver mai saputo essere presenti in modo unitario, nel non essere mai state capaci di aver e dar fiducia a qualcuno che ci rappresentasse e portasse in modo determinato e chiaro le nostre istanze.

4. i diritti;

E' proprio vero che ci sono negati “tutti” i diritti? Nei fatti no, facendo le dovute eccezioni con le persone che oggi sono classificate come “Clandestine”. In effetti a loro sono veramente negati tutti i diritti, ma ad una persona T italiana sono consentiti i “normali” diritti che sono dati a tutte le persone, ed è qui che noi, nei fatti, segniamo il limite effettivo dei diritti che l'Italia offre ai suoi cittadini, poiché i diritti consueti, standard, con noi diventano limitati ed insufficienti, soprattutto perché il diritto che non ci viene riconosciuto è quello di essere noi stess* e di vivere conseguentemente. Il punto è quindi che noi esprimiamo bisogni che superano lo standard di diritti che lo stato concede, e questo ne evidenzia tutti i suoi limiti. Noi si deve partire proprio da questo elemento, ovvero noi non è che non abbiamo i diritti standard, a il fatto che tali diritti standard sono nei fatti limitativi dei diritti propri di ciascuna persona, poiché diritti che sono circoscritti solo ad una dimensione di standard di normalità minimale. Per ogni persona che esce da questo standard, si aprono le questioni infinite della assenza di diritti, ma questa situazione che è eccezionale per la maggioranza delle persone per quasi tutta la loro esistenza, per noi costituisce la nostra condizione di fatto. Ma la nostra analisi deve partire necessariamente da questo punto, perché nei fatti la nostra richiesta del riconoscimento dei diritti, è una richiesta che partendo da noi allarga la dimensione dei diritti di ogni persona.

I diritti che ci sono negati sono quei diritti che risiedono all'interno del quadro dei diritti che sono nello standard, ma che per la nostra “condizione” di transito in atto, ci vengono preclusi per via del non riconoscimento della nostra realtà, il non riconoscimento del nostro reale genere di appartenenza. Nei fatti i diritti che ci sono negati sono poi diritti di quotidianità, come l'uso del giusto pronome, come l'accesso tranquillo ad un qualsiasi sportello pubblico, come la possibilità di poter essere messe nei reparti confacenti al nostro genere e non al sesso scritto nei documenti; Nei fatti non c'è un vero e proprio negarci il diritto, ma il fatto che non c'è il riconoscimento della nostra persona, la non corrispondenza dei documenti diventa quel cavillo burocratico che impedisce l'accesso tranquillo a tutta una serie di servizi che altrimenti sarebbero nella piena disponibilità.

Nel momento che noi si deve presentare delle chiare rivendicazioni sui diritti che ci sono negati, deve essere ben chiara la differenza, ovvero non tanto che quei diritti non ci siano dati nella disponibilità, ma che una certa comprensione culturale sessista ci impedisce l'accesso o ci costringe ad un non riconoscimento di noi stess* per ciò che effettivamente siamo. Il problema di fronte al quale siamo post* a tutti i livelli è quello che può essere rappresentato dal dover andare nel bagno delle donne o degli uomini. È una semplificazione, ma che identifica l'oggetto ed il motivo della negazione all'accesso a dei diritti che ci sono. Questo sposta l'asse della rivendicazione, la puntualizza in modo chiaro e in quali confini si definisce la nostra rivendicazione. Mi interessa che io sia riconosciuta per ciò che sono, perché se sono riconosciuta allora anche l'accesso a quei diritti mi si apre. Nel quadro dei diritti che ci sono negati c'è anche il diritto al lavoro, ma la condizione di fondo è quanto è stato precedentemente espresso. La questione di fondo, invece, è quella dei diritti che non ci sono riconosciuti, anche perché non sono contemplati nello standard di diritti. Non sono riconosciuti a noi in quanto per noi sono una esigenza primaria, ma non sono riconosciuti a nessuna persona, solo che per la maggioranza delle persone non si pongono come esigenze primarie. Per noi lo sono. Quali sono questi diritti che non ci sono riconosciuti, ovvero che noi evidenziamo come diritti che non sono riconosciuti alla persona?

In primo luogo è il diritto all'auto determinazione della persona. Questo è effettivamente il diritto principe che questa società e questo Stato non riconosce a noi, così come non riconosce alla persona a prescindere dal suo essere T.

In secondo luogo il diritto che non ci viene riconosciuto è quello all'accesso al complesso iter delle cure. Non che ci viene impedito, ma ponendo questa condizione come espressione di una “libera scelta”, nei fatti ci viene precluso il diritto al riconoscimento della nostra condizione di persone che non scelgono il loro status di T, e che quell'iter non è il prodotto di una scelta, ma di un bisogno finalizzato ad un riscontrabile benessere della persona. È chiaro che in questo contesto si inserisce la discussione sulla demedicalizzazione del DIG, e che va affrontato con estrema chiarezza valutando l'effettiva realtà e non quella presunta.

In terzo luogo il diritto che ci viene non riconosciuto è quello ad una immediata identità sociale, e qui mi riferisco sostanzialmente a quel complesso intreccio di questioni legali legati alla legge 164/82 ed alla sua effettiva messa in atto. Appare chiaro che i tribunali non hanno assolutamente chiaro quanto dice la legge, o comunque attuano metodi che complicano inutilmente le procedure ed i conseguenti costi; tale situazione arriva a paradossi quando ci si trova di fronte ad un coniuge.

In quarto luogo è il diritto ad una adeguata e informata tutela sanitaria. Questo diritto che ci viene negato è diverso da quello precedentemente annunciato, poiché riguarda nello specifico il diritto ad una vera e corretta informazione. Non siamo oggetti di sperimentazione, né oggetti verso i quali tutto è possibile, perché privi di qualsiasi reale tutela, dobbiamo accettare comunque sia qualsiasi cosa ci viene propinata. È il diritto ad avere una chiara informazione per poter essere nella piena consapevole condizione di poter decidere e scegliere con consapevolezza il percorso, i modi, i metodi, le soluzioni possibili.

In quinto luogo c'è il diritto che noi ci neghiamo, che è il diritto di essere noi stess* socialmente, perché ci lasciamo condizionare fuori dimensione dalla inadeguatezza della società, perché ci lasciamo caricare di sensi di colpa che non sono nostri. È il diritto che noi stess* ci neghiamo negandoci a priori ogni possibilità, privandoci di provarci.

5. quali prospettive.

Lo slogan che abbiamo proposto per il congresso: “Io non sono parte del problema, io sono la soluzione al problema” indica quale sia la nostra predisposizione mentale riguardo alla realtà. Intanto noi ci poniamo come soluzione, perché siamo il punto che evidenza la carenza di diritti, la carenza di democraticità dello Stato, ed in questo noi siamo quindi al soluzione al problema stesso, poiché non ci poniamo più in una posizione passiva di attesa che qualcuno “ci pensi” e quindi “ci risolva il problema”. Noi abbiamo sufficiente competenza, sufficiente esperienza, sufficiente prospettiva politica e sociale da poter essere noi a produrre una soluzione al problema, e questo vogliamo fare, per noi stess* e per tutta la società.

Noi, proprio perché collocat* al margine della società, abbiamo la possibilità di poterla guardare da una prospettiva più ampia, siamo nella condizione di poter pensare quale potrebbe essere e quale può essere la città nella quale viviamo. Tanto per cominciare vogliamo una “città” nella quale il diritto della persona abbia la prevalenza sul diritto collettivo, a qualsiasi livello si ponga. L'individuo, il soggetto, la persona ha un diritto inalienabile ed insuperabile, questo a prescindere dalla sua cittadinanza, poiché rivendichiamo che i contenuti della Carta Costituzionale esprimano diritti a prescindere dalla cittadinanza dell'individuo, poiché quei contenuti sono primariamente vincolanti per le persone cittadine dello Stato Italiano e sono estese nei fatti a chiunque vive nel territorio dello Stato Italiano a prescindere dalla propria nazionalità. La persona è il soggetto primario di diritto, ed è da questo diritto che derivano eventualmente gli altri diritti collettivi i quali, per nessuna ragione, si possono sovrapporre al diritto della persona. Quindi pensiamo una “città” nella quale il diritto alla persona significa in primo luogo il diritto alla sua autodeterminazione e la fine di ogni logica di tutela superiore alla persona. Lo Stato esercita la sua funzione sussidiaria alla persona, ma mai sostitutiva della volontà della persona.

E' conseguenza che la “città” che pensiamo e che vogliamo è una “città” che accoglie, che è capace costantemente di mettersi in dialogo e confronto con chiunque si presenti e voglia vivere un periodo di storia in questa “città”; una “città” che sappia sempre e comunque farsi inquinare da ciò che è diverso da sé, dalla propria cultura, dalla propria storia. Non perdendo la propria cultura e la propria storia, ma neanche ritenendola assoluta e sicuramente autentica; una città aperta che non necessità di mura, che non necessita di protezioni perché è patrimonio di tutti ed è asilo per tutte le persone. Una città che sappia guardare oltre sé, sappia comprendersi come facente parte di un tutto, come responsabile primaria del tutto che la circonda, perché quel tutto che la circonda e la invade è la sua vera ricchezza.

Una città che abbia la capacità di dare vita e spazio alle idee, alla inventiva, alla capacità ed alla voglia di provarci, di tentare, di portare degli spazi nuovi di pensiero, di mercato, di ricerca, di studio. Una città che ritenga la diversità una ricchezza e l'omogeneità la povertà di sé. Una città multicolore capace di inventarne sempre di nuovi, sempre capace ad accogliere e comprendere nuovi colori che si vogliono aggiungere.

Una città che abbia la politica che di fronte alla storia non si chiuda, ma al contrario si apra, sappia investire nel nuovo, nella novità, nella capacità individuale di spingersi oltre, che sappia raccogliere e supportare chi questa capacità non la ha;

una città che sappia sviluppare una politica che introduca la cultura dell'accoglienza, della informazione, della consapevolezza, della partecipazione;

una città che sia attenta al diritto degli ultimi, di chi non ha voce, di chi non ha potere.

Noi richiediamo:

1. Che ci sia un'ampia e corretta informazione in merito alla transessualità e transgenderismo, che questa possa essere affrontata e presentata correttamente nelle scuole di tutti i gradi e gli ordini, che vi sia personale idoneamente preparato presso ogni ASL o presidio sanitario; che presso gli sportelli dei comuni ci sia sufficiente materiale informativo comprensivo di ogni indirizzo utile alla persona per potersi orientare, in buona sostanza che le informazioni di base non siano solo affidate ad una ricerca non guidata su internet;

2. che vi sia una chiarificazione complessiva sull'iter burocratico complessivo che una persona che inizia la transizione deve affrontare e che vi sia un sufficiente supporto legale in merito, e comunque seguendo degli standard unificati su tutto il territorio nazionale;

3. che la pratica della privacy sia effettivamente rispettata in ogni contesto nei confronti di ogni persona, ed in particolare nei confronti delle persone T;

4. che sia ribadito è sancito chiaramente che la “diagnosi” del DIG è un auto diagnosi;

5. che l'iter burocratico complessivo di transizione sia assolutamente semplificato e ridotto alle sue parti più essenziali, ovvero che i tempi che intercorrono fra l'Auto diagnosi e la possibilità di arrivare alla conclusione del proprio percorso sia ridotto al minimo essenziale e, comunque, non sopra i 24 mesi complessivi

6. che l'intero costo di tale iter sia totalmente a carico della collettività, poiché siamo più che convint* che una persona pienamente se stessa è una ricchezza per la collettività e non una spesa, e che non si costringa le persone a scelte pesanti per poter affrontare qualcosa che non è il prodotto di una propria scelta;

7. che non sia elemento derimente per il cambio anagrafico la totale sterilizzazione della persona;

8. che i procedimenti di cambio anagrafico siano riportati alla loro reale essenza di semplice rettifica anagrafica e non necessitino di passaggi legali, ma soprattutto non siano vincolati alla rcs;

9. che sia garantita la conservazione del lavoro a chi inizia il percorso di transizione o che comunque vive nel proprio genere d'elezione;

10. che siano garantite per legge l'accesso al lavoro sulla base delle competenze come unico criterio di valutazione e quindi che si escluda per legge ogni forma di discriminazione sulla base dell'identità di genere o orientamento sessuale;

11. che la persona in transizione sia per legge immediatamente equiparata e ritenuta nel genere di elezione, e che socialmente non si attuino discriminazioni o limitazioni relative;

12. che a livello giuridico sia garantita la tutela alle persone da ogni tipo di discriminazione.



1 commento:

  1. AUGURI per il congresso, spero veniate anche a Napoli con queste iniziative!
    Trovo OTTIMA l'idea di mettere insieme Intersessuali e Transessuali !!
    Voglio SUGGERIRE, in onore del caso di cronaca citato, la creazione del termine "marrazzo" per "amante di persone trans o intersex" necessario come punto di riferimento RELAZIONALE delle persone trans ed intersex studiate, a differenza dei gay e delle lesbiche, solo nella loro dimensione psicologica come se foste degli alieni autoreferenziali.
    LA COPPIA MARRAZZO-TRANS oppure MARRAZZO-INTERSEX (ma trans ed intersex sono molti simili dal mio punto di vista) devono essere studiate per capire meglio il fenomeno e le esigenze tanto dei "marrazzi" finora ignorati del tutto dalla letteratura, dal cinema o dalla scienza, quanto delle persone "trans-intersex" di cui oggi a parte alcuni stereotipi banali si continua a capire veramente poco.
    Manlio Converti
    Psichiatra
    www.manliok.blogspot.com
    manlio.converti@tiscali.it

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